Raimondo Bonamici
Nasce a Mamoiada in Sardegna, Italia, nel 1956. Vive e lavora a Roma.
Raimondo Bonamici dopo un periodo iniziale
dedicato alla pittura figurativa classica, nel 1976, restò
affascinato dal mondo dell’arte astratta, abbandonando per questa, la
ricerca paesaggistica e oggettistica che si rifletteva nelle sue opere,
realizzate fino agli anni 70, permettendogli di sconfinare così
dall’elemento reale della rappresentazione paesaggistica. Con la prima
mostra personale avvenuta nella Sala delle Esposizioni di Nuoro 1977; Bonamici si rende conto che il suo passaggio nel mondo contemporaneo
con l’informale materico è molto forte, generando uno stimolo che
influenzerà le sue opere
successive, caratterizzate da monocromatismi statici formali. Notevole è la
forza del materiale che investe la superficie, per la sua vivacità
ideologica del pensiero creativo. Nello stesso anno presenta alla galleria
“B3” di Milano, sei lavori di grandi dimensioni. In questa nuova fase, le superfici
bianche e le forme circolari nere sono dentro a schemi geometrici;
le opere lette tutte insieme, formano un unico contenuto e si avverte già
un primo tentativo di uscire
dalla dimensione del quadro tradizionale per entrare in quella suggerita
dall’arte astratta. Nel 1979 si trasferisce a Roma. Nascono qui le prime
“superfici” in cui, il colore nero, bianco e rosso assumono il ruolo di
stati primari, diventando una costante, persistente, fondamentale nella
sua ricerca. Negli anni ’80 il suo lavoro risulterà stabile nella
ricerca della forma sulla materia, condizionata dalle cromie nere, percepite
nelle sue risonanze contemplative. Nel 1986, in occasione della personale
alla galleria il “Punto”(Velletri – RM), Bonamici nota che
le sue opere,
senza un ordine
cronologico, riescono a creare un
dinamismo espressivo che, fino a quel momento, non era presente
nell’ordine secondo il grado delle opere che convengono,
sostituiscono una dimensione
più saggia nella rotta di un sorpasso della pittura stessa, con
l’avvicinamento alle teorie concettuali. Nel 1990, la pittura di Bonamici
conquista lo spazio primario, riorganizzando la superficie dell’opera con
interventi di colore nero e di colore bianco. Il nero viene reso complice
come l’ombra del buio, entra nell’infinito, cercando la luce che lo rende
vivo, accompagnandolo ad esplorare le risonanze più profonde
dell’immaginario, sull’invisibilità della pittura stessa, abbandonando la
superficie bianca nel silenzio assoluto, nella continua dialettica che,
caratterizza l’inizio della ricerca, avanzando, per fasi consecutive di
sviluppo, rappresentati da
ampliamenti di ricchezze cromatiche e da inattese interruzioni di ogni
luminosità, in cui condensa, allo stato compiuto, ogni flusso consolidante
della superficie che accomuna dentro di sé la forma nera. La collisione tra
varie forme integranti, unitamente ad un tragitto, in cui trovano la
preservazione del proprio compimento. Bonamici radicalizza l’azione espressiva, gestendo
la superficie come strumento e non come un fine. Le forme diventano
così un punto di aggregazione di vari elementi, astratti e mentali, connessi
tra di loro.
Qualunque forma risponde ad un’ opera, ad un’ immagine continua,
trascinante, forme e linee di colore nero, fuori da ogni legge
gravitazionale. La superficie è
raccoglitrice stabile di energia, che attira forme ed immagini
assecondate, volta per volta, nello spazio, entro cui si colloca il colore
nero, che rimanda
silenziosamente a stati e condizioni mentali, formatisi nella loro
completezza. Il linguaggio impiegato mediante l’uso schematico, tende a
darsi con lo stesso sentimento
universale di rappresentazione
riguardando ogni forma diversa,
trovando nella superficie il
luogo adeguato, secondo una
memoria che appartiene all’arte, ricercando una rivalità con la realtà; anzi,
essa si ritira nel luogo
proprio della sua produzione, nei recessi irraggiungibili
di un immaginario che non
si concede più ai conflitti
col mondo ma, permane ancora dentro la forma, le linee di un
linguaggio interiore intorno all’arte stessa, con una soluzione di
continuità. Come scrisse, Raffaelle Gavarro, nel 1993: “ non è nei termini
di un’appropriazione linguistica compiuta in altri ambiti, come quello
letterario o cinematografico, che
ha senso parlare dell'opera di Bonamici, presenti ad esempio, in film
come “Blade Runner” o “Alien”, o nei romanzi di Philip Dick
o di Thomas Pynckon, ultimamente, apportatori di grandi suggestioni,
quanto di una sorta di passaggio naturale e necessario all'uso di questi
materiali, i quali, costituiscono l'usuale territorio di tutti i giorni.
L'adeguamento delle forme radicate nell'esperienza iconografica di Bonamici,
già segnalata come l'unica libertà superstite, ne è l'inequivocabile
segnale. In particolare, la forma ovoidale, è una costante quasi ossessiva,
che troviamo presente in una tridimensionalizzazione scultorea che
testimonia un passaggio ulteriore nella ricerca di Bonamici. La forma
ovoidale è un simbolo universale di per sé, legato alla sua genesi del mondo
e alla sua differenziazione. Esso svolge, in tutte le cosmogenie, il ruolo
di immagine e di modello della totalità. Ma, oltre la dispiegazione della
simbologia legata alla forma ovoidale, presente in tutti gli angoli della
terra, certo ben nota al lavoro di Bonamici, essa rappresenta, più
specificamente qui, una sorta di incroci di moduli formali ed espressivi,
legati all'idea della circolarità che trovano appunto riscontro, nei vari
momenti della storia dell'uomo. Attraverso questa continuità, Bonamici tenta
di stabilire una linearità ideale tra ciò che è stato frutto della sintesi
biochimica originaria e ciò che è derivato dallo sviluppo della capacità
intellettuale e fabrile dell'uomo. Tale continuità trova ulteriore riscontro
nell'uso, pressoché esclusivo, di colori, quali il nero e il bianco, sono
infatti i due poli esterni della scala cromatica: la tenebra e la luce. Nel
lavoro di Bonamici si avverte una tensione che è appunto frutto di questa
coesistenza di elementi, forme profondamente diverse nella loro origine, tra
i quali non si tenta una conciliazione degli opposti, ma una vera e propria
osmosi rigenerativa. Tramite questa tensione si cerca quel minimo comune
denominatore che tiene unite le cose nel corso della storia.” (...)
Nel 2016, Bonamici riesce a stimolare la nostra capacità di comprensione e infondere memorie collettive, sogni e visioni da banali forme circolari. Questi motivi semplici formano il suo repertorio di opere. In questi lavori non è l'immagine stessa, ma il Mondo che si apre, quando molti di questi lavori sono messi insieme, ed è ciò che interessa a lui.
Scritti
1987 Marcello Venturoli. La Sardegna Europea di Raimondo Bonamici.
1991 Susanna
Busnelli. Quando
il materiale fa la differenza.
1993
Raffaele Gavarro.
L'attualità tra pelle finta e ricordi veri.
2005
Giorgio Segato. Il
respiro della città.
2010
Robert Ward.
Tactics.
2012
Francesco De Santis.
Yellow.
2014 Han Chen. L'ultimo Mondo.
2018
Antonio D'Anna.Il concettualismo
di Bonamici.